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Ponte di Piave prima della Grande Guerra

ven 20 mar 15


Come preannunciato nell’ultima cronaca, d’ora in avanti non racconteremo più gli eventi in perfetto ordine cronologico, ma effettueremo dei balzi da un anno all’altro a seconda degli indizi raccolti. Il nostro primo viaggio temporale arriverà sino agli anni antecedenti lo scoppio della Grande Guerra, per fotografare idealmente la situazione del nostro paese prima del conflitto mondiale. Per farlo ci avvarremo di una fonte assai fidata: il libro di Monsignor Costante Chimenton, professore nel seminario di Treviso, dal titolo: PONTE DI PIAVE E LA NUOVA CHIESA DI S. TOMASO, edito dal prelato nel 1926 con l’intento di raccogliere fondi per la ricostruzione della chiesa distrutta dai bombardamenti. Una ristampa del libro avvenne negli anni 90 grazie ad una felice intuizione dell’allora Assessore alla Cultura LUCIANO MARTIN, in collaborazione con l’Ingegner ROMANO MAZZARIOL, del compianto Sindaco GIANNI MARIN e dei parroci di Ponte di Piave e Negrisia.
Cito testualmente Monsignor Chimenton quando scrive: «Fu un po’ stentata la vita, nel campo civile, a Ponte di Piave fino alla metà del secolo XIX; ma dopo quest’epoca, pacificati gli animi e rivendicati i diritti alla libertà nazionale, lo spirito di nuovi tempi si impose in tutto il Lungo Piave, e si iniziò un’opera di vera restaurazione e di vero progresso. L’opera dei sindaci che si susseguirono dal 1870 al 1916, il cavalier Pietro Gasparinetti, il cavalier Bortolo Burei, il cavalier Lino Gasparinetti, il cavalier nobile Giuseppe Wiel, in N. H. Milone Tommaseo Ponzetta, fu tutta un’opera di restaurazione e di pacificazione che trasformò Ponte di Piave in uno dei centri più interessanti della provincia di Treviso.»
Con il benessere materiale e morale lo sviluppo demografico subì un notevole impulso, tanto che dalle statistiche fornite dal Municipio si rileva come gli abitanti che nel 1901 erano 4078, dieci anni più tardi, nel 1911, erano già arrivati a 5227. Artefice principale di questo incremento fu soprattutto il capoluogo, a discapito delle frazioni di Negrisia, Levada, Busco e San Nicolò, fra le quali era diviso il comune. Un rammarico però tormentava Monsignor Chimenton, il quale prosegue: «Dove non si era raggiunto uno sviluppo degno di encomio era nel campo scolastico: in tutto il vasto territorio esistevano due soli edifici scolastici di proprietà del Comune, e precisamente a Ponte di Piave e a Negrisia, a Levada, Busco e San Nicolò l’insegnamento elementare si impartiva in edifici di proprietà privata. Soltanto 11 maestri per insegnamento elementare; il massimo grado di insegnamento, la terza classe inferiore in tutte le frazioni, escluso il capoluogo dove l’insegnamento proseguiva fino alla quinta classe elementare.»
Così descriveva, forse con un eccesso di retorica, le peculiarità del paese Monsignor Chimenton: «Belle le ville Loschi, Tommaseo-Ponzetta, Burei, Lino e Massimiliano Gasparinetti. Tenute in onore le piccole industrie: fra queste, vere specialità di Ponte di Piave, l’industria dei canestri, delle seggiole, delle salsicce, del vino raboso, della lavorazione del legno, dell’allevamento dei cavalli. Le esigenze della vita erano accontentate, ma, senza dubbio, anche nel campo industriale, Ponte di Piave poteva desiderare qualche cosa di più. Dove si poteva additare il paese di Ponte come esempio a tante altre località, era nel campo agricolo. Le piene del Piave non rallentarono mai la passione per la lavorazione della terra e per le magnifiche instancabili risorse della natura: le campagne, nella primavera e nell’autunno, presentavano l’aspetto di un giardino prolungato, dove fiori e frutti annunziavano le speranze e presentavano le ricompense. In quelle campagne si temprarono gli spiriti forti, gli uomini di carattere, gli onesti lavoratori, i veri difensori della fede e della nazione. Il terreno ricco di acque e di sorgenti, il mite livello sul mare, di appena nove metri; in modo speciale lo spirito religioso che informò tutta la vita, anche la vita sociale, tutto concorse a trasformare Ponte di Piave in una delle posizioni più privilegiate del Lungo Piave, e a cui era riservato il più splendido avvenire.»
La narrazione di Monsignor Chimenton fu ispirata dalla lettura dei diari tenuti da Don Pietro Zanetti, al tempo arciprete di Ponte di Piave, e raffigura una situazione che a noi pare sin troppo idilliaca, probabilmente perché il libro venne redatto a conflitto ultimato, quando ancora erano scolpiti nella mente del prelato i ricordi dei morti, dei feriti, delle deportazioni, delle devastazioni e dei terribili patimenti che le operazioni belliche avevano inflitto al nostro territorio ed alle genti che lo abitavano. Certamente la comparazione fra la qualità della vita dei primi tre lustri del novecento, e quella dei tre anni e mezzo circa che seguirono, ossia dal maggio 1915 all'ottobre 1918, ebbe una fondamentale importanza nello far scrivere al Monsignore le seguenti parole: «Quando scoppiò la guerra europea, si arrestò tutta questa vita. Un incubo grave si appesentì sul capoluogo e sulle sue ubertose campagne; la Grande Guerra spezzò tante speranze, travolse tante aspirazioni, trasformò il vasto paese in un cimitero prolungato, sconvolto dalle granate: su quella località, privilegiata e favorita dalla natura, trionfò per lunghi mesi, parca fatale, la morte.»
Forse il Chimenton uomo, prima che il Chimenton religioso, comprese, quello che tutti noi avremmo dovuto comprendere per il passato e dovremo comprendere per il futuro: il vero Paradiso è costituito dalla pace fra i popoli.

villa loschi
 



news pubblicata il ven 20 mar 15